Si colloca nel 1820 la canzone civile di Giacomo Leopardi intitolata Ad Angelo Maj. Essa è dedicata al grande erudito schilpariese, nato il 7 Marzo del 1782 e morto ad Albano Laziale il 9 Settembre del 1854, all’età di settantadue anni. Leopardi esalta in particolare il ruolo che il Cardinale Maj ebbe nella scoperta di alcuni testi importanti della letteratura classica, attraverso i quali si rendeva ancora possibile il confronto con quel mondo straordinario che avrebbe forse potuto resuscitare – in un tempo che Leopardi giudicava spento, vile, assopito – la passione e la capacità delle cose grandi. 

Ma chi era Angelo Maj?

La presenza della famiglia Maj a Schilpario è attestata a partire dal Millequattrocento, ma sappiamo che già nel tredicesimo secolo era presente un tale Pietro Majsi, originario della Valtellina. Nel sedicesimo secolo la famiglia risulta ampiamente diffusa e il ricorso frequente al nome Angelo  – o Angelino – aveva fatto sì che la contrada di appartenenza assumesse proprio il nome di Cà Angilì. Il Cardinale nasce invece dal ramo dei Manfredì, in una delle case prossime alla piazza centrale del paese, allora detta della Croce, in seguito ribattezzata in suo onore Piazza Angelo Maj. Non è certo che la casa natia fosse esattamente quella su cui è attualmente posta una lapide a ricordo, o quella accanto. Sappiamo che era figlio di Angelo Maj e Pietra Battistel e che venne battezzato nella chiesa parrocchiale il 10 Marzo. Gli venne dato il nome Angelo dopo che già era stato dato a due fratelli, purtroppo morti poco dopo la nascita. Il futuro cardinale compì i primi passi di studioso alla scuola del parroco di Schilpario, don Giovanni Grassi, che forse ne intuì lo straordinario potenziale. Fu per questo, o per la tradizione ancora viva per la quale molte famiglie avviavano un figlio al sacerdozio, che venne inviato presso il Seminario di Clusone poco più che bambino. Nel 1796, all’età di quattordici anni, lo troviamo al Seminario di Bergamo. Dovrà però rientrare a Schilpario a causa dell’invasione austriaca. Ripartirà nel 1799 alla volta di Parma, dove darà inizio al noviziato nella Compagnia di Gesù (Gesuiti). Cinque anni più tardi è a Napoli, per gli studi teologici. Poi a Roma, presso il Collegio Romano. Riceve l’ordinazione sacerdotale nel 1806 a Orvieto. Ma l’occupazione di Roma da parte dei francesi lo costringe a rientrare a Milano, dove vive poveramente nei pressi di S. Ambrogio. Qui avviene il primo decisivo passaggio della sua vita: l’approdo alla Biblioteca Ambrosiana, in qualità di scrittore di lingue orientali. È in questa sede che Angelo Maj darà vita ad alcune delle straordinarie scoperte che lo renderanno famoso non solo in Italia ma in Europa, quali il recupero di passi del De Repubblica di Cicerone, pubblicato poi nel 1814. Altre scoperte fondamentali riguardarono le opere di Simmaco, Plauto, Terenzio, Iseo e Frontone. La vastità della sua opera gli valse la stima e l’appoggio dei grandi mecenati milanesi, ai quali spesso dedicò le sue pubblicazioni. Ma gli attirarono anche invidie e gelosie e l’accusa di ricorrere con troppa facilità all’applicazione di tinture e sostanze chimiche per agevolare la leggibilità di manoscritti antichi dei quali si temeva il deterioramento. Quel che è certo è che fosse un lavoratore instancabile, mosso dalla curiosità ma ancor più dalla convinzione che il sapere non andasse tenuto nascosto, bensì reso accessibile a tutti.

Il grande lavoro svolto a Milano gli valse la nomina, nel 1819, a Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana. Qui confermò il suo stile e la sua dedizione assoluta al lavoro di ricerca. Ma la sua grandezza non si limitò solo al campo dell’indagine filologica, bensì riguardò anche l’apertura verso una riforma della Chiesa, a partire dall’organizzazione degli studi nei Seminari, per i quali auspicava da una parte una maggiore attenzione al mondo della cultura classica e dall’altra al confronto con le scienze.

Prima di concludere, è importante ricordare l’attenzione che mantenne sempre verso la sua comunità di origine, in particolare verso i poveri di Schilpario, ai quali destinava stabilmente una parte dei proventi della sua attività. E a beneficio dei quali dispose che andasse una parte del suo lascito testamentario. Così come dispose la realizzazione di “un modesto deposito in marmo” nella chiesa parrocchiale, in sua memoria, che venne poi realizzato dallo sculture Benzoni di Songavazzo. Il suo corpo riposa a Roma, nella Basilica di Santa Anastasia, fra il Circo Massimo e il Campidoglio. 

Italo ardito, a che giammai non posi
di svegliar dalle tombe
i nostri padri? ed a parlar gli meni
a questo secol morto, al quale incombe

tanta nebbia di tedio? (…)

Giacomo Leopardi, Ad Angelo Maj