Lungo l’antica via di comunicazione fra Scalve e Borno/Camonica, già descritta nel XVI sec. dal grande cartografo veneto Cristoforo Sorte, in corrispondenza dell’intersezione con il torrente Giogna e alle porte della magnifica Paghéra del Giovetto, vi è la località denominata Segherie o Ràséghé. L’area della Val Giogna è di frequentazione antica; più recentemente, a partire dalla metà del XIX sec., essa è stata luogo di insediamento di due attività produttive proto-industriali, grazie alla sua collocazione in prossimità di risorse strategiche quali l’acqua e il legname: la segheria Bettoni Uvianì e la segheria Furfì.
La prima, sorta intorno al 1850 circa per iniziativa del sig. Giovanni Bettoni Uvianì, possidente residente nella contrada di Azzone, era ubicata a valle della strada, immediatamente prima del ponte: essa derivava l’acqua del Giogna poco a monte del ponte e la restituiva poco a valle, dopo che la forza idraulica aveva azionato la ruota verticale in legno e le varie ruote dentate, secondo lo schema tipico delle segherie alla veneziana. Venne abbandonata nel corso degli anni ’50 ed ora si presenta ridotta allo stato di rudere.
La seconda, recentemente ristrutturata, viene denominata del Furfì ed è sorta nel corso degli anni ’10 del XX sec.. Il fabbricato si articola su tre livelli: al pian terreno è presente la lama che, con il suo movimento oscillatorio, determinava il taglio delle tavole, in sinergia con il carro, sul quale era posizionato il tronco (bùrö), che si muoveva orizzontalmente spingendo il tronco contro la lama. La forza motrice derivava sempre dalle acque del Giogna, prelevate a valle del rilascio della segheria Bettoni e condotte fino alla ruota verticale: essa, caso singolare, si trovava discosta di circa 15 m rispetto all’edificio, sotto il medesimo, e la forza era trasmessa mediante un complesso sistema di lunghi alberi fino ai manovellismi al piano interrato della segheria.